Aldo Moro

Il 16
marzo 1978, in via Fani a Roma, alla vigilia del voto parlamentare
che – per la prima volta dal 1947 – avrebbe potuto sancire l’ingresso del
partito comunista nella maggioranza di governo, Aldo Moro viene sequestrato da
un commando delle Brigate Rosse. Cinque uomini della scorta vengono uccisi. E
Moro verrà giustiziato da Mario Moretti il 9 maggio, eseguendo una
"sentenza" emessa dopo un finto processo politico.

Mario Moretti è in libertà vigilata dal 1994. Era un nemico
dello stato. E. come altri suoi compagni politici, è riuscito a colpire la
fantasia popolare, permettendo la costruzione di un personaggio con qualche
connotazione negativa, ma comunque eroico. Una sorta di Don Chisciotte, animato
da ideali che era difficile condividere, ma erano in qualche modo ritenuti
romantici, e dunque positivi. "Allora credevo di essere in guerra",
ha sostenuto per rinforzare il personaggio. E molti hanno creduto che questo atteggiamento
potesse essere interpretato come una revisione un po’ eccessiva, ma comunque
interessante, della resistenza.

"Doveva essere il nostro processo, la rivoluzione che
processava lo Stato. E la Democrazia Cristiana per noi era lo Stato e alcuni suoi
dirigenti, come Andreotti e Moro, la rappresentavano", ha dichiarato
Bonisoli. E dice anche "Per noi qualsiasi azione destabilizzante dello
Stato era un passo avanti, un passo che doveva essere fatto". Ma in che
senso andava la destabilizzazione dello stato voluta dalle Br, quale era il
progetto al quale poteva portare?

E quale era davvero la guerra che volevano combattere le
Brigate rosse? La stessa di Andreotti e di Cossiga, che furono
professionalmente
cialtroni nell’affrontare il problema, la stessa degli apparati dello
stato che
avevano il compito di rallentare e depistare le indagini, la stessa
della Cia,
che aveva il compito di impedire il riconoscimento delle sinistre? La
stessa di
chi chiese all’esperto di falsificazioni di preparare il falso
comunicato Br
che indicava il Lago della Duchessa come tomba di Moro, e che serviva a
dire alle Br che potevano tranquillamente procedere con la vera
esecuzione?

Ci sono troppe domande che cercano risposta. Ma è inutile
parlare di "Mistero del delitto Moro". E la paura di essere troppo
dietrologi è assolutamente funzionale a un sistema che ancora adesso cerca di
proteggere i veri responsabili politici. La sinistra dell’epoca, ma anche
quella attuale, è cascata nel gioco. E sono cascati nel gioco anche tutti
quelli che hanno dovuto/voluto fare i conti con la presenza di questo tipo di
terrorismo. Che ne abbiano preso le distanze, o che ne abbiano in qualche modo
riconosciuto il potere rivoluzionario, subendone il fascino, hanno commesso un
errore: hanno fatto in modo che venisse riconosciuto politicamente nell’ambito
della sinistra un gruppo che invece l’ha affossata definitivamente, infilandola
nelle maglie di una rete che strangola chiunque voglia tentare di gestire
questo Paese, maglie che prevedono accordi sottobanco, rapporti di cortesia,
legami con il sistema di governo parallelo: quello mafioso. Una marmellata
dalla quale non riescono a uscire neppure i più idealisti.

 

Moro stava cercando di portare a termine un’operazione alla
quale, a quell’epoca, pochi erano preparati, e soprattutto pochi potevano
comprenderne la raffinatezza: il riconoscimento del partito comunista poteva
portare alla sua sua neutralizzazione. E poteva ottenere come risultato uno
spostamento verso una socialdemocrazia che non avrebbe più avuto forze
consistenti a sinistra. Ci siamo arrivati ora, a trent’anni di distanza. ma
allora c’erano troppi rischi. C’erano ancora la guerra fredda e il blocco
sovietico. Tutto poteva ancora accadere.

Grazie al delitto Moro, e a tutto il periodo che seguì, al
terrorismo, alla strategia della tensione fase seconda, la sinistra vera,
quella che non avrebbe mai rischiato di diventare socialdemocratica, venne
rispedita indietro anni luce. Si trovò a fare i conti con i
"compagni" delle Br, dovette lottare contro fantasmi che credette gli
appartenessero, perdendo un sacco di tempo e di energie, perdendo la capacità
di portare avanti un progetto propositivo, agendo solo e sempre in difesa.

Il vero segreto del delitto Moro, restano i suoi scritti.
Restano le dichiarazioni che fece, quello che disse del potere militare, dei
suoi esimi colleghi (Andreotti primo tra tutti), dei legami che in quel momento
stavano stringendo per strangolare l’Italia per i decenni a venire. Hanno mai
parlato di questo i brigatisti? I compagni “troppo rivoluzionari” hanno mai
spiegato cosa avevano capito? Probabilmente loro stessi erano stati presi in un
gioco troppo più grande di loro, è la scusa. Erano ragazzi. E adesso? Hanno capito
qualcosa? Possono raccontarci qualcosa, o dovremo aspettare che tra altri vent’anni
vadano a fuoco gli ultimi verbali rimasti in circolazione?

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