Contadini e ogm: la storia di Percy Schmeiser

In questi giorni è in Italia Percy Schmeiser, l’agricoltore americano che è diventato simbolo della battaglia contro le ogm e i monopoli dell’industria agrochimica, dopo che i suoi campi sono stati infestati da polline contenente geni transgenici.

Quella di Percy Schmeiser è una storia esemplare che vale la pena di essere ricordata in ogni contesto: agricoltore in Saskatchewan, una di quelle aree che vengono considerate il granaio del mondo, per l’enorme produzione di granelle di cereali, sementi d’olio, e mangimi per animali, coltivava sui suoi campi la colza da oltre 50 anni. Come tutti gli agricoltori tradizionali, usava spesso sementi autoprodotte, ibridandole di tanto in tanto con nuove varietà acquistate o scambiate con i vicini. Di più: svolgeva un continuo e prezioso lavoro di ricerca sulle varietà antiche, proprio quelle che ogi vanno a ruba tra i biotecnologi perché contengono preziosi caratteri di resistenza alle malattie. Nel 1997 Schmeiser irrora il diserbante Roundup sulle piante e ha una imbarazzante sorpresa: anche dove eccede nelle dosi, la colza sopravvive. Si tratta evidentemente di colza ogm, quella messa a punto dalla Monsanto per evitare la perdita del raccolto anche con dosi elevate di pesticida. Schmeiser non aveva mai acquistato sementi ogm. Se n’era ben guardato. Ma i suoi vicini si. Una gran parte degli agricoltori canadesi utilizzano colza transgenica resistente ai diserbanti dal 1995 . E lo fanno senza nessuna particolare precauzione: il Canada è il terzo produttore mondiale di ogm, con 5.4 millioni di ettari, vale a dire il 6% del totale . A differenza dell’Italia dove è stata introdotta di recente una apposita normativa, in Canada  nulla impedisce di trasportare i semi su camion aperti, o di lasciare le piante tagliate sui campi.

 

Ma soprattutto nessuna legge obbliga a creare delle aree di isolamento tra coltivazioni transgeniche e non.: la convivenza tra piante ogm e non ogm è considerata normale. E il polline ogm di colza può volare a decine di km di distanza, fecondare le piante e dare origine a una nuova generazione transgenica. Il gene responsabile alla resistenza all’erbicida Round up è tra l’altro di tipo dominante.
La storia poteva finire qui. Sarebbe stato uno di quegli aneddoti che si portano come esempio quando si citano i rischi di contaminazione, da affiancare a quella, forse più nota, dell’inquinamento delle piante di mais criollo, nella valle di Oaxaca, in Messico. In questo caso l’episodio fu ancora più grave: varietà selvatiche , e dunque sono protette da convenzioni internazionali che salvaguardano in particolare i patrimoni genetici delle varietà originarie delle piante coltivate, sono state inquinate da transgeni di grantourco che si trovava a centinaia di chilometri di distanza in aree coltivate in modo industriale.
La seconda puntata invece aggiunge al danno ambientale quello della privatizzazione, da parte di una multinazionale, dell’agricoltura e dei contadini.
Ecco il seguito.L’anno successivo alla scoperta, gli ispettori Monsanto, probabilmente dietro segnalazione, vanno a fare visita a Percy Schmeiser: Come nel migliore dei romanzi noir, la Monsanto si avvale dell’esperienza dell’agenzia investigativa Pinkerton. Gli investigatori entrano senza permesso nei campi e prelevano alcuni semi. Scatta la denuncia: Schmeiser secondo la Monsanto ha cercato di fare il furbo. E’ entrato in possesso di ogm senza autorizzazione, o meglio senza aver pagato le preziose sementi all’azienda che le ha messe a punto spendendo miliardi in ricerca high tech, e le ha piantate nei suoi campi. L’accusa è appropriazione indebita delle sementi e violazione del brevetto. Nei due primi gradi di giudizio, Schmeiser viene condannato a pagare 170mila dollari alla Monsanto più le spese legali.
La corte suprema canadese, l’ultimo livello processuale previsto dall’ordinamento giuridico del Canada, sancisce poi definitivamente che l’agricoltore ha violato il brevetto Monsanto. Si tratta di una sentenza purtroppo molto importante, che conferisce alle multinazionali sementiere il diritto a reclamare il pagamento delle proprie royalties anche quando gli organismi geneticamente modificati arrivano casualmente nei campi dei contadini. E soprattutto non riconosce quello che a tutti gli effetti è invece un caso di grave inquinamento e un danno commerciale: intere partite di miele canadese sono state per esempio respinte dall’Olanda in quanto risultavano contaminate da polline ogm. Il pagamento della multa per fortuna non è avvenuto perché sono state riconosciute delle attenuanti. Resta però il vero danno, che va ben oltre quello economico. La sentenza della corte suprema è stata infatti accolta dalla Monsanto con un comunicato che elogiava la decisione, perchésanciva un nuovo standard per la protezione della proprietà intellettuale.
Purtroppo quello di Schmeiser non sarà un caso isolato: i sistemi di controllo e pressione sugli agricoltori non sono affatto rari .
E’ dello scorso gennaio un rapporto sull’operato della del Center for food safety, una organizzazione indipendente americana che lavora per difendere il sistema agroalimentare dalla appropriazione dei giganti industriali. Il Cfs aveva ricevuto diverse segnalazioni da parte di agricoltori e intendeva verificare a che livello arrivava il loro coinvolgimento in controversie provocate dal presunto abuso di piante brevettate, in particolare gli ogm della Monsanto.Il quadro che emerge dal loro studio è preoccupante,e la dichiarazione del direttore del Csf non lascia dubbi: “Le denunce e gli accordi che ne seguono sono nientaltro che una estorsione efettuata dalla corporation ai danni degli agricoltori. La Monsanto sta inquinando l’agricoltura con le sue coltivazioni transgeniche, senza informare correttamente i contadini delle proprietà di questoi semi alterati, e approfittandone poi per agire”, ha detto Andrew Kimbrell alla presentazione dei risultati.
La Monsanto, secondo quanto trovato, agisce in tre stadi diversi: effettua una indagine investigativa sull’agricoltore, effettua pressioni private, e infine fa scattare la denuncia contro chi ritiene abbia infranto le leggi che proteggono i suoi brevetti.
Fino al momento della pubblicazione del rapporto la Monsantoaveva aperto 90 processi ai danni di 147 agricoltori americani, e aveva fissato un budget annuale di 10 milioni di dollari e uno staff di 75 persone per indagare ed eventualmente denunciare i contadini. Un buon investimento, visto che dai processi l’azienda ha guadagnato 15 milioni di euro.
Questa è la nuova frontiera, che dagli Stati Uniti è destinata ad estendersi in tutto il mondo.In una situazione di elevata competizione infatti, il cibo e le risorse agricole primarie rappresentano un bottino troppo grosso per essere lasciato nelle mani dei contadini. Non è un caso per esempio che, con il pretesto di aiutare l’Iraq a camminare con le proprie gambe, gli Stati Uniti stiano riconvertendo il sistema agricolo tradizionale del Paese in un apparato corporativo. È stata infatti creata una legge, l’Order 81, per far sì che ciò avvenga.
L’Iraq fa parte della "mezzaluna fertile" della Mesopotamia. È qui che, dall’8500 all’8000 avanti Cristo circa, l’uomo ha cominciato a coltivare grano, è qui che l’agricoltura è iniziata. I contadini iracheni hanno selezionato manualmente, negli scorsi diecimila anni, le varietà di grano che meglio si adattavano al loro clima arido. Ogni anno hanno messo da parte i semi, li hanno ripiantati e poi incrociati per far si che i raccolti migliorassero continuamente. Secondo la FAO il 97% dei contadini iracheni utilizza i loro stessi semi o li acquista sul mercato locale. Il fatto che ci siano oggi più di 200.000 varietà conosciute di grano nel mondo è dovuto in gran parte al lavoro mai valorizzato abbastanza di contadini come questi e dei loro sistemi informali di scambio di conoscenze e commercio. Un lavoro immane e preziosissimo. Tanto che quando nel 2003 una bomba ha distrutto la palazzina che ospitava la banca irachena dei semi, gli agronomi si precipitarono a scavare tra le rovine. La banca, la cui fondazione risale al 1970,  si trovava ad Abu Grhaib, un nome già tristemente famoso e che però è anche quello di una delle varietà di grano più diffuse dell’area irachena. Molti campioni di  varietà di grano iracheno si trovano però ancora presso l’International Centre for Agricultural Research in Dry Areas (ICARDA) in Siria. E da qui si potrebbe ripartire per dare un nuovo impulso all’agricoltura locale.
Come è già avvenuto altrove, in particolare negli anni Sessanta, nel periodo della Rivoluzione verde, le nuove forze di potere hanno deciso che, malgrado i diecimila anni di tradizione, i locali  non sanno quale frumento dà migliori rese sul loro stesso terreno Sono stati dunque allestiti appezzamenti dimostrativi in tutto l’Iraq dove si può imparare ad allevare varietà di semi ad alta resa, con il supporto tecnico dell’International Agriculture Office dell’Università texana A&M.
Non solo. Tra i decreti già varati e che devono portare alla ristrutturazione del sistema legale iracheno, ce n’è uno che riguarda le sementi. L’Order 81 annulla la precedente normativa irachena sui brevetti del 1970 e copre "Brevetti, Design Industriale, Informazioni Segrete, Circuiti Integrati e Diversità delle Piante”. E’ giuridicamente vincolante a meno che un successivo governo iracheno non la abroghi.
La parte più significativa dell’Order 81 è il capitolo che introduce la  "Plant Variety Protection“. Per essere conformi alla Pvp, le sementi devono soddisfare i seguenti criteri: devono essere "nuove, distinte, uniformi e stabili". Sotto le nuove direttive imposte dall’Order 81, pertanto, i tipi di sementi che i contadini iracheni sono ora incoraggiati a far crescere  saranno quelle registrate sotto la PVP, dunque quelle dell multinazionali.E’ infatti impossibile per le sementi sviluppate dagli iracheni soddisfare i criteri della Pvp, visto che le sementi non sono "nuove" poiché sono il frutto di millenni di incroci. L’Order 81 vieta anche ai contadini di riutilizzare sementi di varietà protette, o con caratteristiche simili alle varietà Pvp. Il che significa che se una corporation parte da un avarietà locale per sviluppare una varietà con caratteristiche leggermente diverse, chi ci va di mezzo è il contadino che l’ha ereditata dai suoi padri e che ha sempre adotato l‘open source del codice genetico della pianta come base per il proprio lavoro, pur senza conoscere il Dna. Ma selezionare, incrociare e ibridare piante che crescono spontaneamente nei campi, è una operazione non molto diversa da chi elabora un software aperto.
Non è però sempre necessario che il biotech sia sinonimo di appropriazione: c’è infatti anche chi mette insieme alta tecnologia e condivisione dei saperi  come il Center for the application of molecular biology to International agriculture (Cambia),un istituto australiano nato circa dieci anni fa. Il Cambia è un ente no profit che compie ricerche soprattutto nell’ambito di organismi manipolati geneticamente ma tramite il proprio codice genetico, e non utilizzando geni di organismi che appartengono ad altri generi. In pratica amplifica con mezzi tecnologici le pratiche tradizionali di incrocio. Più che questo, di cui vanno ancora valutate le conseguenze, è però interessante il fatto che Cambia abbia prima di tutto realizzato un esteso data base sui brevetti relativi a tutte le tecnologie agricole, una risorsa molto utile per i ricercatori che devono pagare diverse royalties su settori di ricerca precedenti e funzionali al loro. E recentemente ha diffuso una nuova tecnologia per il trasferimento dei geni che funziona meglio di quella, proprietaria, utilizzata finora da tutti.
Per questo motivo ha senso ricordare ancora una volta tutte le persone che anche in modo spontaneo stanno svolgendo, come Percy Schmeiser, un’opera di raccolta costante dei semi di vecchie varietà. In Italia, oltre a diversi istituti universitari, ci sono persino gruppi che si autodefiniscono contadini hackers che scambiano tra di loro le sementi per coltivare i propri orti.
I semi, lo sapevano i contadini di una volta, sono pieni di bug. Per questo avveniva lo scambio, per questo c’era un flusso di informazione continuo che circolava all’interno delle comunità e che portava all’elaborazione continua, tramite condivisione. Una situazione perfetta per gli avvoltoi del mercato:  in mancanza di creative commons riconosciuti sulle risorse biologiche, questo meccanismo virtuoso e spontaneo può essere interrotto tramite i brevetti, e diventa persino facile guadagnare.
 

 

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