Scienza e ecoattivismo: un rapporto inevitabile

 

da Laser: http://www.e-laser.org/new/news.asp?idNews=546

Esistono ancora frazioni estreme dell'ambientalismo? A cosa servono o a cosa sono servite le loro azioni? In Italia di questi argomenti se ne parla raramente. Non è così dove si produce ricerca, vale a dire in Paesi come Usa e Gran Bretagna, dove la presenza degli ecologisti radicali è così forte che anche gli ambienti più consolidati sono costretti a fare i conti con la loro presenza. In Inghilterra per esempio, grazie a un forte dibattito sull'uso degli animali da laboratorio, sono state introdotte leggi per la limitazione delle cavie, e sono stati incentivati metodi di sperimentazione alternativi. Si trattava di un argomento che ormai faceva parte del dibattito pubblico, e la necessità di frenare stragi inutili nei laboratori sembrava ormai un obbligo morale. Però ha avuto un effetto positivo, tanto che poi i principi della legge inglese sono stati presi in esame anche all'interno dell'Unione Europea.
La relazione tra movimenti di opinione e scienza è sempre stata difficile. I primi ritengono di aver diritto a esprimere il loro parere su un sapere perché poi le applicazioni avranno inevitabilmente  un impatto sul sociale, e non sempre è positivo. Anche il mondo degli scienziati però ritiene di aver un dirito: in quanto esperti, pensano di dover agire liberamente, come se non facessero parte della società che li ha prodotti, come se la scelta che porta a seguire alcune linee di ricerche che stanno effettuando, quelle e non altre, non dipendesse molto spesso da scelte che con la scienza hanno poco a che fare. Prova ne è che una buona parte della ricerca è finanziata dalle aziende e i risultati vengono istantaneamente posti sotto la tutela del brevetto.
Evidentemente però la necessità di un rapporto più stretto e di un confronto continui tra i due mondi, sta prendendo piede. Nel numero di Nature del 5 ottobre per esempio, è stato pubblicato un editoriale dedicato alle azoni distruttive che vengono di tanto in tanto messe in atto contro i laboratori di ricerca, richiamo di un ampio articolo, pubblicato sempre nello tesso numero, che fa il punto su quanto è stato compiuto dall'Earth liberation front americano. Quello che ne emerge non è una facile condanna, ma una presa in esame delle conseguenze a livello pubblico, e della necessità di tenerne conto per garantire un dialogo democratico.
L'articolo analizza i moventi degli eco attivisti. Li descrive come romantici, idealisti, egocentrici. Ma da risalto e spazio alle ragioni delle loro idee. Una cosa non da poco in un mondo in cui cancellare e far morire qualcosa è facilissimo: basta non darne mai risalto sulla stampa.Eart liberation front viene accusato di gratuità di alcune azioni, come i danneggiamenti a laboratori di ecologia terestre o biodiversità, che, nonostante le accuse, conservavano in realtà importanti data base. Ma vengono riportati i pensieri di William Rodgers, che prima del suicidio in prigione, in una lettera in cui parla della guerra che l'uomo sta facendo contro la natura, si schiera dalla parte dei leoni e dei pipistrelli, e definisce la sua morte come un "ritorno a casa", alla Terra, alle origini. O un passo del libro di Jeffrey Luers, solo mille copie vendute, che lancia un messaggio chiaro: "non stiamo finendo il nostro tempo. Lo abbiamo già finito".
Forse c'è un bisogno. La necessità di una parte critica che si contrappone all'estremismo della verità assoluta, della scienza al di sopra di tutto. Nell'editoriale le posizioni sono ancora più esplicite: gli ambinetalisti non vanno sottovalutati, neppure quando sono estremisti, neppure, agiungiamo in calce, quando quello che smebra un movimento con alte aspirazioni, rivela nel suo sito la sponsorizzazione di una pubblicità soft porno, che toglie fiato a idee forti e che sarebbe stato bello prendere in considerazione.
L'articolo parla chiaro fin dall'inizio: se non si ripetta il concetto che l'opinione di tutti e valida, compresa quella più oltranzista, la cultura, compresa quella scientifica, può finire in una bara. Le posizioni più forti hano comunque una validità. Anche peché hanno una corrispondenza precisa con un sentire più moderato condiviso da una larga fetta di popolazione, con la quale vanno fatti i conti. E la conclusione è ancora più interessante: gli scienziati dovrebbero cambiare atteggiamento e imparare a mostrare il proprio lavoro in modo più chiaro e comprensibile, accetando anche la parte critica, in modo da permetere una visione più chiara.

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