REACH significa Registrazione, Valutazione e Autorizzazione delle sostanze chimiche. Viene chiamata così la nuova legge, approvata il 13 dicembre 2006 dal Parlamento Europeo. Il nuovo regolamento però entrerà in forza solo il 1 giugno 2007, vale a dire tra altri sei mesi. E' il normale lento e tranquillo percorso di leggi indispensabili, attese da anni.Questa, che riguarda la pericolosità delle sostanze chimiche, e che dovrebbe finalmente mettere la parola fine a una presunta ignoranza degli effetti che molti composti sintetici hanno su uomo e natura, è stata richiesta da quando sono venuti i primi dubbi che la chimica non fosse totalmente innocua, vale a dire negli anni Sessanta. La Commissione ha proposto un regolamento nel 2003. Ora aspetteremo il 2007 per iniziare, ed è già stato previsto che prima di undici anni non sarà possibile avere dati concreti. Nel frattempo c'è tutto il tempo per continuare a essere esposti a sostanze che hanno il difetto di accumularsi nell'organismo e molte delle quali sono sospettate di essere cancerogene, mutagene, e capaci di creare importanti squilibri del sistema endocrino e immunitario.
Nonostante la direttiva rappresenti un importante passo,le critiche sono arrivate da più parti.
Le associazioni ambientaliste hanno per esempio sottolineato che Reach sembra ritagliata più sulle esigenze dell'industria che dei consumatori. I tempi di attuazione di REACH sono volutamente lunghi per consentire ai produttori di avere molti anni per fornire dati sicuri, un periodo di tempo collegato sia alle proprietà delle sostanze che alle tonnellate prodotte.In particolare 10 tonnellate all'anno, è il valore limite al di sopra del quale non sarà più consentita nè vendita nè produzione in assenza di documentazione sui rischi per la salute e per l'ambiente. Peccato che più volte sia stato dimostrato che non è la quantità, ma la qualità di un composto, che ne determina la sua pericolosità. Soprattutto se si considera che quello che fa alzare il fattore di rischio sono le miscele tra varie sostanze, che ne determinano un effetto sinergico. Risultato: il 60 per cento delle sostanze chimiche, prodotte o importate in quantità inferiori a 10 tonnellate l'anno, potranno comunque circolare anche senza informazioni e dati di sicurezza. Tra queste, tanto per fare un esempio, ci sono prodotti estrogeno-simili presenti negli shampoo lucidanti, e che secondo la Food and drug americana è responsabile della pubertà precoce.
Per spiegare il perché di questo risultato, è necessario andare a mettere il naso nell'industria chimica. Dal 1930 (preso come inizio simbolico della produzione industriale) a oggi, la quantità annuale di sostanze chimiche utilizzate è passata da 1 milione di tonnellate a 400 milioni. Quella chimica è la terza industria europea, conta 31mila aziende produttrici, quasi due milioni di lavoratori, e corrisponde al 33 per cento del mercato europeo. Sarebbero numeri difficili da digerire persino per una dittatura ambientalista, figuriamoci per una socialdemocrazia.
Grazie a questo determinante ruolo economico, nei riguardi della chimica tutti si sono premessi di essere benevolmente distratti, nonostante i dati scientifici parlassero molto chiaro. Sono tutti d'accordo con l'individuare l'aumento delle sostanze chimiche disponibili nell'ambiente come causa dell'aumento delle allergie, dell'asma, del cancro, dei disturbi riproduttivi tra i quali il calo di fertilità nei maschi. Tutti sanno ormai anche quanto lontano possano viaggiare anche composti prodotti in minime quantità, che si accumulano nei tessuti di animali che vivono in aree remote, quasi come se abitassero in centro città.
Le imprese non saranno obbligate a sostituire le sostanze con altre disponibili. E le autorizzazioni all’utilizzo dei prodotti saranno rilasciate anche laddove esistono alternative più sicure, purché il rischio possa essere “adeguatamente controllato” e soprattutto il vantaggio socio-economico sia superiore ai rischi ambientali.
Il 99 per cento delle sostanze chimiche presenti sul mercato nel 1981, quando venne fatto il primo elenco, non ha documentazione precisa, e il 20 per cento non ha dati affatto. Alle oltre centomila di allora, adesso se ne sono aggiunte altre 4mila, ma le informazioni continuano a mancare.
Reach è stata accolta tiepidamente anche dalla Confederazione europea dei sindacati (CES) , che ha insufficiente il testo per quello che riguarda la protezione della salute dei lavoratori, anche se nella legge è stato confermato il principio fondamentale che rende l'industria responsabile della prova sulla non pericolosità delle sostanze. Di nuovo poi c'è un problema di quantità: anche per quanto riguarda i lavoratori, il rapporto sulla sicurezza chimica sarà reso obbligatorio soltanto a partire da un volume di produzione annua superiore alle 10 tonnellate. I lavoratori delle 20.000 sostanze prodotte nel volume tra 1 e 10 tonnellate non avranno quindi delle informazioni essenziali per la loro protezione . Delle patologie presenti tra i lavoratori europei, una su tre è dovuta a esposizione a sostanze chimiche.
Alla fine, il programma di registrazione, valutazione e autorizzazione riguarderà solo 30.000 sostanze chimiche esistenti sul mercato. Le critiche all'attuale versione di Reach infatti non sono mancate neppure da parte dell'industria, che a causa della spesa troppo elevata per la certificazione, ha minacciato di ridurre i posti di lavoro, e di migrare in altri Paesi. La Commissione europea ha fatto una stima: Reach dovrebbe costare tra i 2,8 e i 5,2 miliardi di euro, diluiti nel corso degli undici anni previsti per la completa entrata in forza della legge. Ma ha calcolato anche che la comunità europea dovrebbe risparmiare 54 miliardi di euro in 30 anni, per la riduzione delle spese sanitarie dovute agli effetti negativi.
L'ultima perplessità, forse la meno considerata, è stata quella sollevata dalle associazioni animaliste. La maggior parte dei test previsti da Reach per verificare la dannosità delle sostanze chimiche infatti prevede l'uso di animali in laboratorio. Il vicepresidente della Commissione europea ha dichiarato che nel peggiore dei casi verranno impiegati quasi 4 milioni di animali. In teoria Reach ha mantenuto l'impegno a evitare test su animali in tutti i casi in cui sono disponibili metodi alternativi, tra cui la tossicogenomica. Ma le alternative vengono raramente applicate anche nella ricerca attuale e nonostante siano già state adottate numerose direttive che tendono a diminuire l'uso delle cosiddette "cavie". Per quanto questo argomento sia spesso accolto tiepidamente, è interessante notare che persino Nature, il settimanale che rappresenta l'establishment più autorevole della scienza, è uscito settimana scorsa con un dossier sull'uso, e consumo, degli animali. Vengono presentati alcuni interessanti dettagli, che portano lontano sia dallo stereotipo degli attivisti cattivi, che hanno un eccessivo rapporto di amore nei riguardi di topi, porcellini d'India, conigli, pesci, rettili e anfibi, sia dello scienziato spietato. In particolare ci sono i dati di un sondaggio effettuato presso i ricercatori, per capire le loro opinioni in merito. Ne esce che la maggior parte ritiene che la ricerca animale sia stata fondamentale per le scienze biochimiche, ma c'è anche chi considera spiacevole dover continuare con questo tipo di test. Non solo, viene anche detto che molti ricercatori non riescono ancora a esprimere opinoni articolate, che rivelerebbero diverse possibilità di scelta, fosse anche solo trattare gli animali in gabbia meglio, invece che peggio.
Nature, tra le righe, nonostante un apparente atteggiamento di difesa della scienza sopra a tutto, fa il punto su quello che viene presentato come un argomento complesso, non liquidabile con l'utilitarismo scientifico, secondo il quale una vita animale salva la vita al genere umano. E riesce a dire, sempre tra le righe, che proprio l'estremismo animalista ha contribuito in fondo a una regolamentazione utile e dovuta. Fosse anche solo perché si scopre che l'opposizione della gente comune, va in qualche modo considerata anche tra le mura dei palazzi.
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