In ospedale 3: corpi

Corpi. In ospedale ce ne sono tanti. E hanno vari problemi. Sudano, fanno le puzze, emettono liquidi di vario genere tra cui l'orrido sangue, sono brutti, grassi, flaccidi, dai coloriti cerei. In più, per identificarli, si usano codici numerici (il numero di letto, il settore dell'ospedale, il reparto, la matricola…). Con tutto quello che questo comporta nell'ambito delle fantasie sociali profonde, rimosse, non risolte, generazioni fa.  In ospedale i corpi devono restare tali, punto  e basta, vale a dire: non devono anche appartenere a persone. Le persone amano, ridono, soffrono, esprimono opinioni, in alcuni casi persino desiderano avere una capacità autonoma di valutazione della situazione. E questo non si fa: il sistema medico perepisce la autoaffermazione come un vero e proprio attacco terroristico, da preverire e sopprimere in tutti i modi.

Questo sistema è stato generato dalla capacità di creare un muro, uno dei tanti a cui siamo ormai abituati, che permette a individui diversi di avere relazioni senza entrare in connessione tra loro. In questa situazione il paziente è un oggetto, delicato, da trattare con cura, ma pur sempre un oggetto.
Gli infermieri anche: sono l'interfaccia più direttta a contatto con il malato, ma sono schiacciati da turni massacranti. Non possono certo commettere l'erore di dedicare, oltre alla loro professionalità, anche l'attenzione profonda. Dunque restano corpi che lavorano con i corpi, prendendosi cura di loro, ma non certo delle persone che ci stanno dietro.
Il medico pure, visto che si limita, come un robot, a elaborare i dati numerici espressi da varie analisi (parametri del sangue, immgini della tac, risonanza….) . Quando uno commette l'errore di fare una domanda troppo interessata, che riguarda la propria condizione umana, e non quella di corpo, ottiene in risposta una elegante indifferenza, quasi fosse arrivato un piccolo e fastidioso rumore. Meglio far finta di nulla. L'informazione, anche in ospedale, è un bene capace di creare poteri e ingiustizie, proprio perché esistono i corpi. Deve infatti essere fornita solo in senso verticale, senza alcun feed back dal basso. Fosse anche il deisderio di segnalare che finalmente si stanno riprendendo le funzioni vitali. Il corpo superiore emette la sentenza, quello inferiore la riceve. Non sono due nodi di una rete. Il corpo superiore è l'unico al quale a volte è anche permesso graziosamente di essere umano sullo sfondo. Fa parte del cliché previsto anche nei telefilm, sottilmente e solidamente penetrato nell'immagiinario collettivo. Ma si guarda bene dall'essere umano con un umano: si limita ad esserlo con un corpo. Troppo pericoloso in effetti. Ma il paziente vorrebbe capire "perché" più ancora di "cosa" gli è successo, oppure quale è la situazione reale, e non l'interpretazione. Mentre l'accesso ai dati primari è totalmente negato. Non si riesce neppure a sapere quanta emoglobina è rimasta, giusto per capire la necessità di una eventuale trasfusione.
Il sistema non lo prevede. O meglio dimentica di spiegare cone accedere ai dati.
La matrice subisce una piccola flessione solo quando appare una devazione significativa, capace di attirare l'attenzione e generare informazione essa stessa: il mio computer iper sottile, appoggiato sul letto, fa strillare le dottoresse venute a fare il quotidiano rapportino sullo stato di salute. Questo fa meritare cinque minuti in più di spiegazione, con l'uso di termini un po' meno da bar del solito. Ma anche qui tutto si deve fermare e non eccedere il limite: vietato dare consigli acari al dottore. Altrimenti potrebbe perfino voler dire che puoi scambiare competenze. Dunque sei un pari e non un paria.
L'altra infallibile condizione per uscire dal corpo ed entrare in un personaggio, è farsi raccomandare da qualcuno del mestiere, se possibile qualcuno che conosce bene le sfere più alte. Ottimo se, come è capitato a me, la solita privilegiata, hai un ex compagno di scuola che è diventato ricercatore, lavora proprio in questo ospedale, ha un programma di ricerca con il primario della sezione in cui sei, e in particolare proprio su quel diavolo di pancreas che ti ha segnalato la sua prima ignorata esistenza. Un caso di fortuna sfondata, visto che l'amico, che poi è un'amica, non la vedevi da molti anni. Che il pancreas sia un organo simbolico? Ebbene si. Ma rimando ad altra puntata.
Oggi abbiamo cantato le canzoni di montagna con la signora di 87 anni con cui condivido la stanza. Ha sorriso. Ed è la prima volta da quando sono qui. E' stata abbandonata dalla famiglia. Nessuno le porta asciugamani, pantofole, biscotti. Nessuno le chiede come sta. E nei giorni scorsi era andata in depressione e aveva cominicato a rifiutare il cibo e le medicine. Le infermiere, all'inizio, erano un po' imbarazzate. Sicuramente hanno pensato che fossi matta, come davvero sono, visto che il matto è l'alterazione rispetto al sistema conosciuto. Poi però, come qualche volta avviene, il mio virus le ha contagiate. Hanno sorriso. Per un attimo sono diventate umane, e non solo corpi anche loro. E hanno detto: metiamo il vivavoce che così si divertono tutti qui dentro?

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