Il 22 gennaio Laurent Nkunda, capo dei ribelli congolesi del Nord Kivu, è
stato arrestato in una operazione militare che ha visto la collaborazione
dell’esercito del Congo e delle forze armate del Rwanda.
Come al solito in Africa, ma anche altrove nel mondo, non è sempre semplice
capire che ruoli hanno gli attori, e da che parte stiano. Nkunda per esempio,
aveva in passato fatto parte dell’Esercito del Congo, e protetto il precedente
presidente, un tutsi, come lui. Nkunda, laureato in psicologia, sostiene di
aver deciso di prendere le armi durante il conflitto tra hutu e tutsi in
Rwanda, nel 1994. E tuttora sostiene che il suo ruolo principale è quello di
difendere la minoranza tutsi. Non a caso le forze militari rwandesi coinvolte
nell’arresto sono hutsi.
Ma un altro elemento che complica la scena è che l’arresto è avvenuto una
manciata di giorni dopo che Nkunda aveva firmato un accordo di pace con Mai
Mai, capo di milizie filogovernative, che tra l’altro avrebbe permesso l’arrivo
di forze di pace delle nazioni Unite in 13 località. Secondo molti osservatori
internazionali si trattava di un accordo fragile, visto che al tavolo non c’era
nè il governo del Rwanda, paese con cui confina la regione del Kivu, nè quello
del Congo, che invece ha emesso un mandato internazionale di cattura per
Nkunda. Nkunda aveva tra l’altro esplicitamente chiesto che venissero in
qualche modo isolate le milizie hutu, facendo espliciti riferimenti al
genocidio del 1994. ma Nkunda non è esattamente un eroe positivo: nonostante
sostenga di essere un capo religioso e umano, le nazioni Unite lo hanno
denunciato per aver arruolato bambini, violentato donne e aver compiuto stragi
nei villaggi. Non solo. Nkunda sostiene anche di non aver niente a che fare con
il coltan, le cui miniere invece sono proprio nelle terre da lui controllate.
Il coltan, derivato dal tantalio e impiegato in tutta l’elettronica di consumo,
nei reattori nucleari, nel settore aerospaziale, ha in realtà subito una
contrazione dei prezzi negli ultimi anni. La maggior parte del coltan mondiale
proviene dall’Australia e dal Brasile. E non a caso le compagnie telefoniche,
per tirarsi fuori dall’accusa di essere responsabili delle sanguinose e
interminabili guerre congolesi, hanno sempre dichiarato di procurarselo
altrove. In dicembre però la più grande miniera del mondo, wodgina, in
Australia, è stata chiusa. Da sola provvedeva al 30 per cento della domanda
mondiale. La miniera australiana aveva dei costi di gestione troppo elevati per
gli standrd a cui era sottoposta, e la proprietaria Talison ha dichiarato che a
causa della crisi finanziaria, la domanda di coltan si è contratta, facendo
crollare i prezzi. Con questa chiusura invece potrebbero decollare di nuovo. Ma
in Congo la sua estrazione è sempre stata conveniente perché è basata su una
forza lavoro che ha un costo praticamente uguale a zero. e proprio la
situazione di guerra permanente permette una speculazione che non sarebbe
possibile se ci fosse un controllo governativo.
Per saperne di più sulla relazione tra coltan, situazione politica del
Congo, responsabilità internazionali, Patrick Forestier, reporter della Tac
presse, ha prodotto un video che presenta una situazione al tempo stesso
semplice e ingarbugliata, che nessuno, evidentemente, ha voglia di cambiare.
Viene intervistato Nkunda (il video è del novembre scorso), che dichiara di non
interessarsi alle risorse minerarie, imprenditori europei che sostengono di non
doversi interessare di cosa accada nelle miniere, il governo che ha una sua
opinione, le nazioni Unite un’altra. Il video è in inglese e francese, dura 50
minuti e non è di facile visione. Qualche volta viene voglia di staccare, per
sottrarsi alle responsabilità, per pensare ad altro, per far finta ancora una
volta che in fondo queste cose non sono interconnesse con gli altri mali che ci
stanno venendo addosso in modo più spicciolo.