No paura: i maiali e l’influenza

L’influenza suina, fino a poco tempo, era solo una malattia del sistema
respiratorio dei maiali, a una bassa mortalità (1-4 per cento). Ma
quella che in questo momento sta rivelandosi come la nuova grande
minaccia di pandemia che ucciderà migliaia di persone, è un nuovo
sottotipo, detto per ora A/H1N1, non individuato mai prima d’ora nè
nell’uomo né nel maiale. L’influenza in circolazione Viene chiamata
“suina” perché una delle proteine che rivestono la sua superficie è
molto simile a quelle dei virus che normalmente infettano i maiali.
Altri geni provengono sia dall’influenza aviaria che da quella umana,
in una miscela che è stata definita dagli esperti come abbastanza
“inusuale”. Ma le ricombinazioni genetiche per i virus sono purtroppo,
e per fortuna, una regola.
I maiali per esempio, possono essere contagiati anche dall’influenza
aviaria e dai ceppi dell’influenza umana. E a volte vengono attaccati
da più virus contemporaneamente. In questa situazione, i virus
influenzali si possono incrociare tra di loro, e dare origine a un
nuovo ceppo. ma questa cosa può avvenire anche negli uccelli, e, anche
se più raramente, nell’uomo. In ogni caso il nuovo virus è un
riassortimento di geni che provenivano da altri virus e che gli ha
permesso di superare le barriere che di solito gli impediscono di
passare da un animale all’altro.
In particolare, il virus attualmente i circolazione, potrebbe essere
stato passato in precedenza dall’uomo ai maiali. Il ceppo a cui
appartiene è lo stesso dell’influenza spagnola che fece milioni di
vittime nel 1918, ma anche di alcuni ceppi influenzali meno gravi,
ancora in circolazione. Non è noto però se aver contratto queste
malattie possa dare immunità.Ma non c’è nulla di certo: la Fao ha
rivelato che non sono state riscontrate in nessuna parte del mondo
epidemie influenzali nei suini, ed è partita un’indagine proprio in
questi giorni per verificare le eventuali origini animali.

La sua
virulenza e la sua mortalità non sono ancora del tutto note, come
dimostra il balletto delle cifre pubblicate dai media. La cifra più
evidente, quella relativa ai 152 morti, in realtà compare solo sui
giornali main stream. Deriva infatti da una conferenza stampa fatta dal
ministro della salute messicano Cordoba. Cordoba in un prima
dichiarazione aveva detto: le vittime "potebbero" essere 149. Ma i
giornali si sono persi il potrebbero. E il giorno dopo,. quando ha
rialzato il numero, si è dimenticato di sottolineare che si tratta di
una stima. L’Organizzazione
mondiale della sanità
pubblica dati assai
diversi: nell’ultimo update del 28 di aprile vengono comunicati solo i casi accertati in
laboratorio: 26 in Messico (7 morti), e, senza vittime, 64 negli Usa,6
in Canada, 3 in Nuova Zelanda, 2 in Gran bretagna, 2 in Israele, 2 in
Spagna, Ovviamente la Who è tenuta a protocolli molto stretti di
informazione, che gli impongono di comunicare solo i dati sicuri. ma è
comunque evidente che ci sono alcune contaddizioni. Una di queste per
esempio è la differenza nell rapporto ammalati/morti tra Messico e
tutti gli altri Paesi: evidentemente il virus è potente ma può essere
controllato se ci sono condizioni igieniche buone, mentre come spesso
avviene le epidemie possono essere molto peggiori se le condizioni di
povertà sono alte.
I virus dell’influenza A possono infatti mutare in due modi diversi.
Nel primo caso il virus presenta mutazioni minori o secondarie degli
antigeni di superficie H e N. Tecnicamente si definisce deriva
antigenica: le mutazioni causano variazioni minime alla struttura del
virus, e si manifestano ogni 2-3 anni. In questi casi le difese
immunitarie della popolazione risultano essere ancora parzialmente
protettive nei confronti del virus, per cui si verificano epidemie più
limitate.
Nel secondo caso, detto spostamento antigenico, le mutazioni degli
antigeni di superficie H e N sono strutturali, sono causate dalla
combinazione di due o più ceppi, provocano variazioni importanti alla
struttura virale e si manifestano molto raramente.
Queste forme, verso le quali le popolazioni non hanno una adeguata
protezione immunitaria, si diffondono molto rapidamente.
I virus dell’influenza messicana sembrano essere dovuti a uno
spostamento antigenico.
Il virus dell’influenza suina è comunque sensibile agli anti virali più
diffusi, e già utilizzati per combattere anche l’influenza aviaria,
come oseltamivir e zanamivir. E come è avvenuto per l’aviaria, è
inevitabile sospettare che l’informazione venga deviata per permettere
l’accaparramento, con relativo rialzo dei prezzi, degli antivirali.
Il nostro sistema immunitario è comunque programmato per cercare di
impedire al virus di entrare nella cellula, o di far uscire le copie
replicate, con antigeni che si attivano nella membrana cellulare.
I più attivi meccanismi naturali contro le infezioni virali sono la
produzione di interferone, prodotto dai linfociti, e l’attivazione
delle cellule NK. Entrambi permettono alle cellule di resistere alla
penetrazione, producono proteine antivirali o portano a morte le
cellule infette.
Ecco perché avere un sistema immunitario ben funzionante, può servire
per resistere al contagio. Mentre un organismo ammalato, o debilitato,
è più facilmente preda del virus.
Il sistema naturale di difesa però funziona bene solo in alcuni casi.
Se la malattia è molto virulenta, o se ha già un’elevata diffusione
nella popolazione, è più difficile contenerla. In questo caso vengono
utilizzati farmaci antivirali, che però possono avere effetti
indesiderati. Sono stai per esempio riscontrati blocchi respiratori
dovuti allo zanamivir. Mentre l’oseltamivir (il Tamiflu), una delle molecole più
efficaci contro i virus influenzali, come l’aviaria, ha provocato nei
casi di lunghe somministrazioni, allucinazioni e comportamenti anomali,
tra cui autolesionismo.
Nel fuoco artificiale di opinioni e pareri, nessun virologo ha però
avuto modo di spiegare anche che, proprio per l’alta variabilità
genetica dei virus, se si controllasse la diffusione in modo razionale
potrebbe anche fermarsi tutto in poco tempo: i virus hanno una
evoluzione costante, che può portarli sia a essere pericolosissimi, sia
a neutralizzarsi. E in realtà dal punto di vista evolutivo per un virus
è più conveniente non uccidere le proprie vitttime, altrimenti è
costretto a sua volta a morire. Non a caso molte delle epidemie che
l’uomo ha subito nella sua storia, si sono poi via via trasformate in
malattie endemiche che fanno male, ma non ammazzano. Molti dei virus
precedentemente diffusi dai maiali all’uomo si sono dimostrati capaci
di infettare solo un numero ridotto di casi. Un altro virus H1N1 si è
diffuso negli Usa nel 1976. Anche in quel caso venne lanciato
l’allarme, ma in realtà dopo pochissimo tempo l’epidemia si fermò.

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