All'età di 19 anni Terry Wallis, nel corso di un incidente, viene scaraventato fuori dal suo camioncino, batte violentemente la testa sul selciato e cade in coma profondo. È il 1984. Nessuno immaginava che dopo vent'anni in stato di coscienza minima potesse ricominciare a muoversi e soprattutto a parlare. La sua storia infatti è eccezionale: il suo cervello ha iniziato spontaneamente a produrre nuove connessioni nervose per sostituire quelle danneggiate. E solo grazie a questa capacità, più unica che rara, è riuscito a tornare alla vita nel 2003. In questo modo ha potuto conoscere la figlia che aveva lasciato appena nata, e ora è ventenne. Ma ha dovuto anche realizzare che Ronald Reagan non era più il presidente americano da moltissimo tempo.
Il cervello di Wallis è stato ovviamente messo sotto osservazione dagli scienziati, per carpirne i segreti e arrivano ora i primi risultati. Anche questa volta si immagina possano segnare un punto di svolta per risolvere i problemi più radicali che coinvolgono casi simili: ha senso mantenere in vita le persone in coma, o ha più senso staccare la spina? C’è una risposta scientifica, o invece avrebbe più senso badare alla qualità della vita
Al Weill Medical college della Cornell University di New York hanno utilizzato una tecnica di indagine chiamata Diffusion Tensor Imaging, ultima nata della famiglia della risonanza magnetica.
La nuova tecnica sfrutta l'acqua presente nei tessuti; ma in più riesce a monitorare anche come le molecole d'acqua si spostano nelle diverse parti del corpo umano. Nelle fibre nervose che compongono la sostanza bianca del cervello per esempio,le molecole di acqua si spostano più velocemente nel senso della lunghezza che non di traverso. La Diffusion Tensor Imaging grazie a questo movimento, rivela l'esatto orientamento delle fibre nervose stesse, raggruppate per fasci corrispondenti ad altrettante autostrade nervose: quelle della vista, del movimento, del gusto, del linguaggio e così via. In questo modo si ottiene una mappatura funzionale completa del cervello e si riesce a capire quali centri nervosi interagiscono tra loro e in che modo. Uno strumento analitico teoricamente perfetto.
I risultati, per quanto riguarda Wallis, in effetti sono stati sorprendenti: si è scoperto che il suo cervello è stato in grado di creare nuovi assoni, i rami principali che connettono i neuroni, stabilendo nuovi circuiti neurali. Le nuove connessioni non hanno però nulla di simile a quelle "normali". Si sono formate nella parte posteriore, e non in quelle di solito previste, creando strutture completamente diverse. E il procedimento sembra continuare anche ora, a distanza di tre anni dalla sua ripresa.
Questi dati, o altri simili, cambieranno in futuro il modo di trattare i pazienti che sono in coma vegetativo, e il modo di dare sostegno ai parenti che non vogliono saperne di "staccare la spina"? Il caso di Terry Schiavo, una donna americana, è stato emblematico: i parenti hanno intrapreso una battaglia legale sull'opportunità o meno sospendere ogni trattamento, che ha coinvolto il Vaticano, la Casa Bianca e milioni di spettatori televisivi in tutto il mondo, ma che alla fine ha riconosciuto un "diritto alla morte" giunta nel 2005.
Se si potesse davvero capire chi è in grado di riprendersi e chi no, queste controversie si potrebbero evitare. Nella maggior parte dei casi lo stato vegetativo resta permanente, anche quando sono presenti segni positivi, come sbattere d'occhi, stati di sonno e veglia, o risposta a stimoli dolorosi.
Quello che manca quasi sempre, mentre sarebbe determinante, è un altro tipo di strumento: quello che permette di valutare la risposta nelle aree del cervello che permettono a questi segnali di essere anche interpretati e coordinati dal paziente a livello cosciente.
Altri studi, sempre basati sull'utilizzo di tecniche analitiche a dell'attività cerebrale, forse, in futuro, aiuteranno a chiarire i casi dubbi. Un gruppo misto delle università di Liegi, in Belgio e di Cambridge, in Inghilterra, ha riscontrato in pazienti in stato vegetativo una attività legata ai centri di recezione del linguaggio. E in altri, una reazione nell'area di riconoscimento delle immagini, quando veniva loro sotto posta una fotografia di un famigliare. In un caso, in seguito a questa scoperta, vennero moltiplicati gli sforzi per il recupero e nove mesi dopo la paziente ha reagito.
I ricercatori, per fortuna, si astengono dal regalare illusioni: sottolineano che si tratta di casi annedotici, e non è ancora possibile affermare che la diagnosi dei medici, quando è pessimista, è per forza sbagliata. Insomma non esistono standard di valutazione. E anche per il prossimo futuro il problema rresta sociale: sono i parenti a dover decidere se ha più senso un accanimento terapeutico o, viceversa, il riconoscimento di un "diritto alla morte".