È ormai accertato: le città stanno diventando enormi forni. I palazzi e le vie del centro di tutte le metropoli, dal Cairo, Egitto, a Vladivostok, Russia, ma anche Milano, Torino e Roma, sono immersi in una gigantesca bolla di aria bollente che si attenua solo nelle aree più periferiche.
Mentre si discute su come affrontare gli effetti del cambiamento climatico globale, l’effetto serra si può già verificare: le città sono immerse in una cappa che intrappola i raggi del sole, ed è di 2-6 gradi, pressapoco quella prevista per il riscaldamento del pianeta, la differenza di temperatura che si misura ogni giorno tra le aree urbane e la campagna circostante.
I grattacieli, le strade asfaltate, i parcheggi e i grandi centri commerciali hanno creato un ambiente che non ha più nulla a che fare con quello naturale. Risultato: le città hanno un clima a se stante. Molto diverso da quello delle regioni nelle quali si trovano.
Il fenomeno era già stato segnalato agli inzi dell’Ottocento da Luke Howard, un pioniere degli studi dell1atmosfera. Howard, che studiava le nuvole (ha coniato tutti i loro nomi, dai cirri ai nembi), aveva notato che nei villaggi dei sobborghi di Londra l’aria era sempre più fresca.
Da allora a oggi le città si sono espanse a dismisura, e l’afa è cresciuta con le dimensioni. I primi a preoccuparsene sono stati gli installatori di impianti di riscaldamento e di condizionamento. Non riuscivano più ad applicare i modelli utilizzati per calcolare le superfici radianti in base alla cubatura da climatizzare.
Il fatto è che calore e cemento provocano una serie di reazioni a catena. Mattoni, pavé, asfalto e in generale tutti i materiali utilizzati per costruire, hanno un basso albedo (è la capacità che hanno le superfici di riflettere la radiazione solare incidente).?In pratica assorbono grandi quantità di calore di giorno, ma non lo riemettono mai. Di notte insomma, non si raffreddano. C’è poi l’effetto specchio: se le strade sono strette, gli edifici sono tanti e non sono intervallati da aree verdi, il calore emesso da una parete viene subito catturato da quella che gli sta di fronte. Sicrea un circolo perverso: il caldo si accumula, non riesce più a dissiparsi e la gente accende i condizionatori d'aria, i quali per raffreddare l'interno delle case, scaldano ulteriormente l'ambiente esterno. Nulla cambia quando fa freddo. In condizioni di stabilità, come spesso accade da noi in inverno, l'aria calda crea uno strato di inversione termica. E' una barriera: gli scambi con le masse più fredde, diventano impossibili. In estate c'è anche un altro problema: la città produce da sola temporali. E lo fa di frequente. Per due motivi. Quando l'aria si scalda, si forma un'area di bassa pressione che richiama masse d'aria più fresca dalla campagna circostante. Si crea un vento che spinge in su la bolla di calore, nascono le nubi convettive tipiche delle burrasche. Lo smog in compenso fornisce nuclei di condensazione per la formazione della pioggia.
L’effetto serra cittadino riguarda, in tutto il mondo, un numero sempre crescente di persone.
Rispetto agli abitanti del pianeta, i cittadini sono passati dal 29 per cento del 1950, al 50 per cento circa del 2000. Tre miliardi di persone vivono dunque in aree urbane e, tra esse, oltre un miliardo si trovano in centri con oltre 10 milioni di abitanti.
Le soluzioni ci sono già: la più semplice, è quella di aumentare le aree verdi. Gli alberi sono più efficienti di un impianto di condizionamento. Basta entrare in un parco per rendersene conto: il benessere non è dovuto solo all’ombra, ma soprattutto all’acqua che evapora dalle foglie, un processo che assorbe calore dall’ambiente, dunque raffredda l’aria. Purtroppo non si possono abbattere caseggiati, o togliere l’asfalto dalle strade. Il consiglio comunale di Tokyo, una città che ha una cronica carenza di spazio, ha però obbligato i proprietari degli edifici che coprono una superficie di più di 1000 metri quadrati a installare sul tetto un giardino pensile, il più possibile simile a un bosco. In Europa, giardini pensili e terrazze fiorite, stanno spuntando un po' ovunque, e c1è persino chi si fa installare un campo da golf. Non si tratta di un’inutile follia. I prati sul tetto riducono fino al 30 per cento la spesa per la climatizzazione dell’edificio. Possono crescere persino sulle pareti spioventi, senza pericolo che vengano giù. Grazie a una combinazione di isolanti, strati di drenaggio ce fanno defluire la pioggia, antivegetativi che impediscono alle radici di sfondare il tetto.
In una giornata estiva, il catrame delle pavimentazioni stradali assorbe calore e può riscaldarsi fino a 50 gradi. Basterebbe sostituirlo, con un materiale chiaro per far crollare la temperatura intorno ai 30 gradi. I costi? L1Heat island group, un gruppo di ricerca americano, ha fatto i conti per Los Angeles: una copertura sottile, che dura 5 anni, costa l’equivalente di circa mezzo euro. Permetterebbe però di risparmiare energia (consumata dai condizionatori)e di ridurre l’ozono (prodotto dallo smog fotochimico), consentendo alla municipalità un risparmio notevole.
Sarebbe ancora meglio se le facciate delle case cambissero periodicamente diventando, per esempio, azzurre in estate, rosse in inverno. Le tonalità chiare riflettono la luce del sole e mantengono più freschi gli edifici, mentre quelle scure assorbono e mantengono il calore.Si spera di poterlo fare tra poco: un gruppo di ricercatori dell’università di Shanghai (Cina), ha messo a punto una vernice termocromica. Contiene cristalli di violetto, un pigmento che produce sfumature dal rosso al verde, al blu a seconda della temperatura.
Visto che l'isola di calore è un problema climatico, si potrà fare di più quando anche i climatologi verranno consultati prima di realizzare ogni nuovo insediamenti. Gli esperti studiano il clima della regione e propongono soluzioni più radicali delle precedenti. Quando il clima è caldo e umido per esempio, un certo movimento d'aria fa stare decisamente sta meglio. Viene deciso dunque di orientare gli edifici in modo da lasciar passare i venti dominanti.
Non c’è però tempo da perdere. Il problema infatti non resta confinato ai quartieri. Le città producono gas serra e modificano anche il clima globale, e più grandi sono più grande è la loro influenzai. Agli inizi del Novecento Mexico City, che allora era relativamente piccola, era affacciata a un lago, il Texoco, la cui superficie era uguale a quella della città. Rispetto alla campagna era di appena 1,5 gradi più calda. Ora, il lago è diventato dieci volte più piccolo, l1escursione termica è pari a 8-10 gradi, la metropoli si appresta ad ospitare 19 milioni di persone e, per ora, è dieci volte più grande di un secolo fa