Sono sempre qui nel mio punto di osservazione privilegiato. Entra la signora che fa le pulizie ogni mattina alle 9.30 circa. L'ho osservata a lungo, lei come le altre con cui si alterna nel turno. Guarda fisso in terra. Ma non è una maniaca della macchia. I suoi occhi non stanno cercando attentamente l'orrenda particella di sporco, che pure viene vista con lo sguardo periferico. Evidentemente sono rivolti all'interno. Avvolta da uno scafandro che la rende inossidabile davanti a malati, letti, siringhe, via vai di infermieri, vive in un suo universo. Forse pensa ai figli lasciati in Ecuador, forse al marito che ieri sera ha come sempre esagerato con l'alcol, forse al padrone di casa. Eppure sembra senza emozioni. L'unica emozione che ho percepito in questo periodo è stato il leggero accenno di pianto fatto da un'altra signora che puliva, nel primo ospedale in cui sono stata ricoverata. Ma la situazione era davvero diversa: in camera di rianimazione, mentre un uomo veniva strappato alla morte con un massaggio cardiaco, un gruppo di medici accanto a una donna in coma non tratteneva le risate per non si sa quale raccontino. La signora continuava a pulire, con lo sguardo rivolto verso il basso. E una piccolissima, invisibile lacrima nell'occhio. Negli ospedali c'è una stretta gerarchia.E i lavoratori delle pulizie occupano l'ultimo posto.
E non è solo una questione che riguarda il tipo di lavoro che fanno. Generalmente infatti questo tipo di personale non fa parte del team del reparto. Non gli appartiene perché le pulizie sono appaltate, e gli appaltatori recuperano personale a bassi costi e nessuna garanzia. Ma almeno è un lavoro. Dall'altra parte sta il gruppo di lavoratori interni all'ospedale: infermieri e medici. Anche gli infermieri a volte sono avventizi. Ma sono comunque considerati parte del gruppo di lavoro. Al vertice irraggiungibile sta ovviamente il primario, che non si vede mai. Seguito dal direttore del reparto. Quando arrivano i medici in stanza non è necessario aver studiato etologia dei primati per capire subito come sono i rapporti di forza: al centro, seduto, si siede il medico più importante, accanto in primo piano ma in piedi, quelli che vengono subito dopo di lui. Intorno a raggiera via via i meno importanti, seguiti da eventuali studenti. Tra loro e il gruppo di infermieri c'è una distanza, ma resta una relazione stretta. Anche tra gli infermieri ci sono gerarchie precise, ma non meno facilmente percepibili, e riguardano più il grado di fatica, o la sofisticazione delle operazioni che vanno fatte: chi fa prelievi vale di più di chi prpva la febbre, ma a volte i ruoli alti fanno di tutto.
Ovviamente nell'ambito dello scandalo sulle pulizie degli ospedali, le voci stanno rapidamente mutando. E come sempre avviene si punta il dito non sui mali strutturali, che è più difficile evitare perché scardinano poteri e gerarchie, ma sui mali periferici, purtroppo importanti pure loro. Ecco dunque che si sente dire che è colpa dei medici che non si lavano le mani. E del personale delle pulizie che non fa il suo dovere.
A me basterebbe poter vedere persone che riprendono la loro voce: la signora che piange per le risate dei medici, che sbatte la scopa per terra e abbandona la sala, la donna ecuadoregna che risponde ridendo alle mie domande sull'assurdo e inutile straccio che le hanno dato in mano. Mi basterebbe che queste voci arrivassero da qualche parte, fosse anche solo restando tra di loro. E portassero a fare l'unica azione che ha senso fare: costringere chi decide a domandarsi che senso ha quello che crede di star facendo.