Birmania: togliamo il petrolio ai militari

Le due foto che compaiono questa pagina, sono state rese disponibili
dalla  Aass (American association for the advancement of science), la società americana per le scienze. Mostrano l'area
di un villaggio  fotografata  l'11 novembre 2000 (sopra) e
ripresa nuovamente il 13 dicembre 2006.  In questo intervallo di
tempo la foresta si è ripresa i propri spazi, le strutture (case
e  stalle) sono sparite. E' una delle prove che vengono portate
come testimonianza schiacciante che il regime militare che governa
Burma dal 1962 ha condotto vari crimini , non ha mai rispettato i
diritti umani, ha letteralmente cancellato intere comunità agricole, ha
costretto alla schiavitù la gente, per costruire grandi opere che
solo le ottuse società internazionali  potevano far finta di
credere fossero indispensabili e di utilità comune.

foto sparizione villaggio burma
In realtà nessuno si è mai vermenete
domandato come mai  il regime militare abbia potuto reggere così
tanto. La Birmania non è un Paese isolato, E la sua storia è nota. Non
fosse altro perché la storia e la resistenza del premio nobel per la
pace Aung Suu  Kyi hanno avuto una enorme risonanza sui media di
tuto il mondo. Ma lunedì scorso (il 24 settembre 2007), mentre i monaci
manifestavano, e l'indegno internazionale faceva il suo speccacolino
sulle pagine dei media, il ministro dell'energia indiano Murli Deora,
era a Rangoon per siglare un importante contratto tra la compagnia di
stato Ongc Videsh e i militari di Burma. La Birmania, o Myammar, come
l'hanno battezzata i militari, ha importanti riserve di gas naturale e
di petrolio. Le riserve provate di gas ammontano a 5 mila miliardi di
chilometri cubi, vale a dire lo 0,3 per cento delle riserve mondiali. 
Piuttosto importanti per un mondo che inizia ad andare in apnea
energetica e si trova con la maggior parte delle riserve isolate in
aree di guerra, o soggette a complicate relazioni politiche. Le
compagnie petrolifere, come è noto, sono impermeabili a questioni di
diritti umani, Basta guardare come hanno trasformato negli ultimi
trent'anni la Nigeria. O quello che è stato fatto in passato in America
Latina. E la Cina, che guarda caso sta metendo i bastoni tra le ruote a
soluzioni diplomatiche davvero incisive, come ha fatto in Sudan e in
altre aree africane, ha enormi investimenti, che riguardano in
particolare le pipeline che dovrebbero portare nel Paese la principale
fonte di alimentazione della sua esuberante economia. Del giro di
protettorato fanno però parte anche compagnie sud coreane e tailandesi,
la francese Total, la compagnia petrolifera della Malesia Petronas, la
cinese Cnoocc, la Chevro.. E gli investimenti delle          compagnie
pterolifere hanno sempre foraggiato il regime militare, tanto che in
questi giorni nelle strade è stato anche urlato che era necessario
allontanarle dal Paese, impedirne gli affari, sospendere le royalties.
Nessun giornale però ha dato grande peso a questa notizia. Il business
e la politica non hanno relazioni, ha risposto nelle lsue 
dichiarazioni ufficiali un esperto di energia cinese della Chatham
House, un istituto di ricerca inglese.  Ma la Cina ritiene strategica
una solida collaborazione con un regime forte a Burma. La posizione
strategica del Paese le consente di dispore di pipeline mer spostare
olio e gas senza dover attraversare lo stretto di Malacca, che in caso
di conflitto o tensione potrebbe essere facilmente bloccato da una
forza militare, come quella statunitense. 

L'india
invece è interessata ai giacimenti off shore nella baia del Bengala  e
alla costruizione di una pipeline che dovrebbe raggiungere la costa
orientale del sub continente. Entrambi i Paesi considerano strategiche
queste operazioni, e non considerano neppure lontanamente la
possibilità di sospenderle, con la scusa che sono di interesse primario
per l'economia e la sopravvivenza delle loro popolazioni.
L'unica risposta possibile in questo momento, dunque, potrebbe essere
sempre la solita, l'unica, quella che nessuno di noi riesce davvero a
intraprendere: lasciare le automobili spente, il riscaldamento al
minimo, utilizzare la candela. E affamare l'idorvora che macina energia
ai danni delle nostre tasche e delle popolazioni che vivono su questa
terra. 

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