Rifiuti: differenziare o eliminare il capitalismo?

I rifiuti sono un problema. Non c’era bisogno di sottolinearlo. Ma le soluzioni che si stanno proponendo, il riciclo e il riuso portato ai massimi livelli, o lo Zero waste proposto da Peter Connet, che suggerisce di  portare la raccolta differenziata al 90 e oltre per cento della pattumiera, sono corrette, ma non possono durare a lungo. 

Qui c’è un vecchio (2002) video americano (dura 19 minuti) che collegava
capitalismo e produzione dei rifiuti, e, sotto, un articolo che riguarda invece
l’attuale situazione italiana.

Nei Paesi, ma anche nelle regioni italiane, dove la raccolta
differenziata è già oltre al 70 per cento, i rifiuti continuano a
essere un problema, e sono in aumento. Non solo: riciclare e riusare
sta diventando un alibi che ci sonsente di usare ancora più plastica,
lattiine, carta, con la scusa che tanto poi questi materiali ritornano
nel ciclo delle merci. Ma tutto questo non è vero. I rifiuti non
occupano solo territorio per le discariche. I rifiuti consumano enormi
quantità di energia, sia che vengano bruciati negli inceneritori, sia
che vengano trattati per farli diventare un’altro combustibile, sia che
vengano trasformati in una nuova materia prima. E l’unica vera
soluzione è non produrli. Come?

I consumatori sono poco più che pedine: la produzione di scarti
e rifiuti viene incentivata ed è funzionale alla produzione delle merci
che vengono vendute. Ed è dunque ancora più assurdo pensare di
risolvere il problema riciclando o riiutilizzando. Sia che vengano gettati in un buco, sia che vengano trattati in modo più civile, i rifiuti non spariranno mai perché sono un prodotto, e non un sottoprodotto, del mercato e del capitale. E l’unica soluzione possibile è l’unica che nessuno vuole praticare. Non comperare bottiglie di plastica, non comperare lattine, non comperare neppure il vetro, limitare al massimo l’uso della carta. Non usare prodotti usa e getta, non usare prodotti confezionati in genere.

Città ideali, che hanno risolto il problema dell’immondizia, si trovano in tutto il mondo, Italia compresa. Basta per esempio andare in Veneto, dove la raccolta differenziata è la più alta in Italia (oltre 200 kg/abitante per
anno) e già da diversi anni il ricorso al compostaggio domestico come quello promosso a Roma allontana dalle discariche circa 14 mila tonnellate di resti ogni anno.
Qui si scopre che il buon governo dei rifiuti segue regole semplici. Le si può riassumere in un acronimo composto da 4 R: risparmio delle materie prime, soprattutto per gli imballaggi; riuso dei prodotti e delle confezioni: per esempio riempire un barattolo di miele con il prodotto sfuso erogato da un distributore; Riciclo dei materiali: la plastica della bottiglia che diventa maglione di micropile; e infine recupero dell’energia dall’ultima frazione rimanente.
Ma proprio qui sta il punto. L’ultima frazione rimanente, nei modelli più avanzati arriva al 30 per cento, e non al 75 per cento come avviene attualmente in Italia. E agli inceneritori che raccolgono questi scarti finali, e che sono sempre al centro dell’attenzione per la pericolosità delle loro emissioni, andrebbero sostituiti i Tmb (Trattamento meccanico biologico) che agiscono a basse temperature. "Anche in questo caso la ricetta è più semplice di quanto si pensi. Basta togliere dal pattume tutta l’acqua, così non puà più marcire e si stabilizza. A questo punto si recupera tutto quello che ancora si può separare, e infine si ottengono dei biocubi che, per esempio a Cuneo, forniscono energia a un cementificio", dice Giuseppe Natta, fondatore di Ecodeco, un’azienda che, in questo modo, tratta un terzo dei rifiuti della città di Londra e ha fatto sparire dalla vista la spazzatura di Lodi, Biella Pavia.
"La spazzatura ha bisogno di un nuovo approccio culturale. Quello che per noi è rifiuto, può essere merce per qualcun altro", continua Natta. E sarebbe un peccato non approfittarne. L’Italia per esempio esporta in Cina un milione di tonnellate di carta all’anno, che non avrebbe se, nelle nostre case, non ci fossero le campane per la raccolta. In futuro sarà la volta dell’alluminio: il 70 per cento di quello che usiamo noi è riciclato. In Cina invece, sono ancora solo al 15 per cento.

La materia prima non manca. I dati Eurostat parlano chiaro: le pattumiere crescono di pari in passo con l’aumento della ricchezza, del reddito disponibile ai consumatori, degli standard di vita. E forse vanno anche un po’ più velocemente. Secondo il rapporto pubblicato dall’Apat, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici del ministero dell’Ambiente, in Italia il prodotto interno lordo, è cresciuto dell’1 per cento, le spese delle famiglie sono aumentate dello 0,6 per cento, ma i rifiuti, nello stesso periodo, sono cresciuti del 5.5 per cento.
Ma il nostro Paese è soffocato ogni anno da 31,7 milioni di tonnellate di spazzatura, circa 540 kg a testa, che spesso finiscono in un unico calderone. Sono le regioni centrali a raggiungere i maggiori valori (633 kg/abitante per anno), e sono in continua crescita: 16 chili in più solo nell’ultimo anno. Il sud, con 496 kg/abitante, si assesta sui più bassi.
Le città che hanno pattumiere più grandi sono quelle dove si verificano flussi turistici: Venezia (715 kg/abitante per anno) e Firenze (711 kg/abitante per anno). Anche se le prime due in classifica sono invece Catania, con 806 kg/abitante all’anno, e Prato (773 kg/ abitante per anno). Nulla di paragonabile con i campioni europei, gli irlandesi, che accumulano 869 kg/abitante per anno, ma neppure con i greci, che raggiungono a malapena i 433 kg/abitante per anno.
Non è finita qui. “A questa già enorme massa si aggiungono ben 108 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, che arrivano soprattutto dall’industria automobilistica e petrolchimica e non sempre vengono trattati nel modo migliore. E secondo la commissione governativa di inchiesta sul ciclo di rifiuti, 15 milioni di tonnellate sono sparite dalla circolazione. Non si sa dove siano finite", rivela Alessandro Iacuelli, autore di Le vie infinite dei rifiuti (Edizioni Rinascita).

Il problema di Napoli deriva proprio da questa cattiva abitudine di creare delle micidiali misture. Nel 1997 venne varato un imponente piano. Doveva risolvere per sempre il problema della spazzatura cronica. Prevedeva sette impianti di trattamento e due inceneritori. L’Impregilo, un’azienda che non si era mai occupata di rifiuti, vincitrice di un appalto sul quale sta indagando la magistratura, iniziò dunque a triturare la spazzatura e a produrre ecoballe, del tutto diverse dai biocubi. In teoria andavano bruciate, o portate in discarica. Erano, e sono ancora, 5 milioni di tonnellate di lordura troppo umida, che contiene troppi ingredienti che vanno in putrefazione. Vennero accatastate dove si poteva.
In questa situazione, la camorra ha potuto continuare a smaltire illegalmente rifiuti tossici e nocivi provenienti da altre regioni. Secondo il dossier di Legambiente Rifiuti spa dal 1993 a oggi in Campania sono arrivati 10 milioni di tonnellate provenienti da Lombardia, Marche, Liguria, Emilia Romagna, Abruzzo e Veneto. Un business che in dieci anni ha fatto guadagnare alla criminalità ben 26,9 miliardi di euro.
 "Le leggi che invitano a trattare i rifiuti nel modo migliore in realtà sono mai mancate. Le prime risalgono agli anni Settanta", rivela Duccio Bianchi di Ambiente Italia, la società che pubblica ogni anno il rapporto sullo stato dell’ambiente nel nostro Paese.
E, per molti versi, i comitati di cittadini che occupano le discariche in Campania sono in sintonia con le soluzioni proposte. "Le direttive europee puntano alla prevenzione, per risolvere il male alla radice. E uno dei punti di forza è proprio la raccolta differenziata, seguita, a lunga distanza, da discariche e inceneritori". Sulla falsariga del protocollo di Kyoto, che impone di ridurre entro il 2012 la produzione dei gas serra ai livelli del 1990, la commissione ambiente europea ha raccomandato di stabilizzare entro il 2012 i rifiuti a livello del 2008.
Il principio è sempre lo stesso: se volgiamo mantenere il nostro benessere, bisogna che cambiamo abitudini e riduciamo le nostre emissioni, di qualsiasi tipo siano.
Stavros Dimas. il commissario dell’ambiente europeo, ha gli occhi puntati sull’Italia, e ha minacciato multe che vanno da un minimo di 22mila a un massimo di 700mila euro al giorno se il nostro Paese non si sbrigherà ad adeguarsi, in tutto il territorio nazionale e non solo in Campania, alla legislazione europea, che impone di riciclare almeno il 40% dell’immondizia In Italia i virtuosi, non sono molti. In media ci attestiamo intorno al
25 per cento, ma ci sono enormi differenze regionali. Dopo il Veneto (47 per cento), percentuali elevate si verificano in Trentino Alto Adige (44,2), Lombardia (42,5) e Piemonte (37,2). Il nord è al 38,1 per cento, il centro al 19.4, il sud raggiunge appena l’8,7. Un motivo c’è: "I terreni costano molto al nord, pochissimo al sud. Ecco perché nel meridione nessuno ha avuto l’urgenza di limitare il ricorso alle discariche", spiega Bianchi.

Certo, l’ideale sarebbe vivere senza pattumiera. E’ questo l’obiettivo di Zero waste una rete internazionale coordinata dal docente di chimica statunitense Peter Connet e alla quale aderiscono molte città del mondo, da Camberra, a San Francisco o Toronto. Ha anche un corrispondente
italiano: la rete nazionale rifiuti zero. Alla regola delle quattro R vengono aggiunte buone pratiche delle comunità cittadine, che prevedono di proibire, o almeno disincentivare, gli usa e getta e gli oggetti che non si possono riciclare o riusare facilmente; incentivano il rapporto diretto tra produttore e consumatore, gli acquisti vicini e la riduzione dei passaggi commerciali. I gruppi d’acquisto ne sono un buon esempio e alcuni enti locali cominciano a favorirli. Invitano a non comprare cose di facile rottura o che si usurano velocemente, non seguire le mode, bere acqua del rubinetto, far la spesa con le buste di tela, comprare materie prime anziché cibi inscatolati.
Ad Abu Dhabi, uno dei sette Emirati Arabi Uniti, entro il 2009 sorgerà Masdar, un quartiere di 6 chilometri quadrati, una città nella città a zero emissioni, zero automobili e, soprattutto zero rifiuti. Il quinto esportatore mondiale di petrolio si prepara così al futuro. E noi?

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