Green concrete: soluzioni per la crisi

Il
giardino come luogo delle possibilità, nel quale dare corpo a
interpretazioni personali, al caos, inteso come comportamento di un
sistema dinamico, alla sapienza di mesh up che, come in una sapiente
ricetta di cucina, mescolano competenze, istinti, affetti,
tradizioni. Un piccolo (a volte grande) territorio di
riappropriazione della propria vita organica, simboleggiata dalla
disposizione di piante e fiori, o da una bidone che contiene compost,
il prezioso materiale che trasforma gli scarti in ricchezza.

Il
fenomeno dell’orto urbano, magari ricavato sul balcone, e proposto
come ridefinizione moderna dello spazio urbano, come ha fatto il
gruppo Work Architecture Company di New York, che ha vinto l’ultima
edizione del premio MoMa per giovani architetti, sta sempre più
prendendo piede. E dagli esperimenti di
guerrilla gardening,
durante i quali persone munite di bulbi e palette hanno cercato di
riabilitare le aiuole spartitraffico.
In Italia molti gruppi
stanno portando avanti iniziative di questo tipo. Tra questi c’è
Crepeurbane
che a Bologna, presso l’Urban center in via Nettuno 9, ha
presentato la mostra fotografica Ins*orti Crepe Fertili, e presenterà
martedì 17 febbraio il libro di Michela Pasquali I giardini di
Manhattan, storie di guerrilla gardens (Bollati Boringhieri). Le
immagini riportavano l’atlante delle specie vegetali spontanee
maggiormente diffuse sul territorio urbano bolognese; quelle che
colonizzano le infinite crepe urbane, e  che, nonostante le loro
apparenti dimensioni di fragilità, fratturano muri e strade.

Lo
spazio urbano da sempre ha rappresentato un melting pot di socialità
e culture diverse. Ma negli ultimi anni sta perdendo questa sua
caratteristica, a favore di un tentativo di omologazione, di sicuro
più rassicurante, nella complessità di un mondo sempre
meno comprensibile, ma indice di monotonia e di termine delle idee.

Gli interventi di Crepe urbane e degli altri guerrilla gardeners
invece, cercano di recuperare l’eterogenicità, proprio a
partire da ciò che più è stato soffocato dal
tessuto urbano a sviluppo rapido, vale a dire la parte organica.
Liberare le piante e gli ortaggi diventa dunque simbolo di una
protesta contro l’estirpazione di elementi che, come i vegetali,
creano reti complesse indispensabili per la nostra sopravvivenza. Il
nutrimento, l’aria, il suolo, ma anche i sapori, e i principi
attivi che possono curare.

L’espressione “verde urbano”
viene comunemente riferita alle sole aree di verde “artificiale”,
progettate e riempite di piante disposto in modo ordinato e
prevedibile e attrezzate con giochi e panchine. Le piante scelte in
questi casi fanno parte ovviamente di standard ricorrenti, che hanno
dato effetti sicuri, dunque a dei modelli perfettamente riproducibili
ovunque. Nei Critical garden invece viene sottolineato il valore del
verde spontaneo, in grado di mescolarsi e riadattarsi a seconda delle
mille componenti in gioco. Alle piante viene permesso dunque di
creare un ecosistema nel quale ogni elemento parteciperà a una
evoluzione naturale che, come è stato dimostrato nel campo
delle discipline scientifiche dell’ecologia, dopo una prima fase di
competizione arriva a una maturità nella quale si verifica una
collaborazione positiva.
Il paragone con quanto potrebbe
succedere anche nelle società urbane è chiaro. E la
difesa del territorio da parte dei Guerrilla gardeners, sotto questa
prospettiva, appare una scelta per dimostrare che è possibile
far circolare nuove sensibilità capaci, forse, di dare vita
anche a nuove soluzioni per crisi che sembrano sempre più
strutturali.
Ai giardini ricavati da spazi abbandonati, alla
valorizzazione degli scarti, si affiancano dunque le cucine
biologiche, gli esperimenti di compostaggio degli scarti alimentari,
la creazione di network di persone che collaborano insieme per
migliorare alcuni aspetti della propria vita quotidiana. E che
trovano in questi momenti un occasione per intrecciare anche
relazioni che  sentono la necessità di ricreare un
patrimonio di beni comuni e una filosofia della vita basata su
aspetti etici che hanno un concreto effetto anche sulle economie
locali.

 

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