No paura: radici biologiche della paura e soluzioni

Sei all’aeroporto e stai per prendere
un volo quando improvvisamente ti rendi conto di esserti dimenticato
di comperare una polizza assicurativa per il viaggio. Vai all’ufficio
delle linee aere e ti offrono una scelta: un pacchetto che copre i
casi di morte per terrorismo,e uno, meno costoso, che copre i casi di
morte per cause varie. Cosa sceglieresti? Questo quesito è
stato posto a una serie di persone, I risultati sono stati riportati in un articolo pubblicato dalla rivista di divulgazione
scientifica New Scientist il 27 agosto del
2008.

Sembra una scelta semplice, ma non lo
è. La scelta meno costosa infatti copre sia i casi di
terrorismo sia gli altri, e sembrerebbe la migliore. E quando un
gruppo di psicologi ha provato a sottoporla a un gruppo di persone
durante un test, si è scoperto che la maggior parte delle
persone preferiscono pagare l’opzione che protegge solo in caso di
terrorismo. Dunque il semplice suggerimento di un problema
“terrorismo”, ha un effetto così potente da convincere la
gente a compiere scelte decisamente non convenienti.

L’eccessiva influenza della paura sul
comportamento umano è emersa in modo molto chiaro in seguito
agli attacchi dell’11 settembre 2001. Per tutti i 12 mesi
successivi molti americani hanno scelto di guidare, invece che
volare. Il risultato è che il numero di persone coinvolte in
incidenti stradali durante quell’anno è salito a 1.600
persone, vale a dire sei volte di più di che si trovavano nei
tre aerei dirottati. Lo studio è stato pubblicato su Risk
Analysis da Gerd Gingerenzer del Max planck Institute for Human
Development.

Pessime decisioni vengono prese anche
quando dobbiamo ponderare i rischi/benefici che possono essere
provocati da un’analisi per il cancro o da una vaccinazione, o
giudicare la pericolosità di un impianto nucleare o
dell’effetto serra.

Ma se non ce la facciamo, un motivo
c’è: il problema risiede nella nostra risposta emotiva.
Quando siamo turbati o comunque colpiti nelle nostre emozioni, siamo
incapaci di soppesare con calma le varie opzioni possibili. Veniamo
invece condotti solo dalle nostre sensazioni. E se sono di terrore e
paura, il risultato è facilmente intuibile.

Secondo psicologi e neuroscienziati le
risposte con cui gente reagisce all’incertezza e alla paura si
possono dividere in due grandi categorie. Una è cognitiva e
analitica e coinvolge l’analisi razionale, l’analisi delle
probabilità e considera gli effetti. L’altra è
intuitiva, veloce, soprattutto inconscia e basata su sentimenti e
emozioni.

Le decisioni pilotate dalle emozioni
però sono molto importanti: servivano all’uomo nelle prime
fasi della sua evoluzione e sono ancora la nostra risposta istintiva.
L’istinto è essenziale quando la risposta deve essere rapida
e le situazioni coinvolgono scelte complesse..

Ma quando la paura o il dolore
prevalgono, il sistema intuitivo può allontanarci dalla
decisione migliore.

Un classico esempio è quello del
rischio catastrofico, un evento con una bassa probabilità ma
con conseguenze gravi se accade. Gli attacchi terroristici sono un
classico esempio. La minaccia di cancro un altro. Esattamente come la
gente ha utilizzato il giudizio istintivo, condotto dalla paura, per
decidere come viaggiare dopo l’11/9, quando le immagini vivide
degli attacchi erano prevalenti nelle loro menti, quelli che hanno
visto da vicino un amico o un parente che ha sofferto di cancro
tendono a sovrastimare le probabilità di contrarre la
malattia. E il risultato è che possono perfino sottoporsi a
indagini invasive (e potenzialmente dannose) senza valutarne i
rischi.

Secondo uno studio pubblicato su
American Scientist da Michale Sivak e Michael Flannagan
dell’Università del Michigan Ann Arbor, guidare lungo una
strada lunga quanto il volo domestico americano di lunghezza media
(circa 1157 km) è 65 volte più rischioso che volare.
Gli eventi del 9/11 dovrebbero essere accaduti tutti i mesi per
rendere il volo pericoloso quanto la guida.

L’influenza della paura nelle
decisioni di ogni giorno è ben illustrata anche esempi che
riguardano l’inevitabilità della propria morte. Quando si
ricorda a una persona che può morire in qualsiasi momento,
entra in una sorta di confusione mentale in cui cerca di sopprimere
il pensiero della morte. Questo processo di rimozione richiede uno
sforzo mentale e può distorcere la riflessione su altri
aspetti.

Il problema con la paura e in genere
con i sentimenti forti è che essi influenzano il nostro
giudizio perché fanno andare in corto circuito altri processi
mentali che possono portarci a una conclusione più realistica.
Ma i sentimenti da soli non sono l’unica scorciatoia per decisioni
sbagliate in materia di rischi. Anche la memoria gioca un ruolo
importante, in particolare la nostra memoria di ricordare immagini
grafiche. Questo meccanismo è noto presso gli psicologi come
regola della disponibilità: più facilmente puoi
richiamare immagini, più facilmente pensi che potranno
accadere. E’ provocata da sensazioni, e le memorie di situazioni
molto emotive sono le prime a essere richiamate. Una delle principali
ragioni per cui sovrastimiamo la probabilità che qualcuno
muoia in un incidente aereo, nell’attacco di uno squalo o in un
episodio di terrorismo è dovuta all’estesa copertura di
questi eventi nei media , e alla presenza di numerose fotografie.
Allo stesso modo sottostimiamo la possibilità di morire per
colpa di una malattia, perché notizie relative a questo tipo
di morte sono generalmente presentate in termini statistici e non con
immagini sensazionali.

L’attenzione dei media sugli eventi
traumatici e scioccanti stimola la parte intuitiva e immediata del
nostro processo decisionale ed è alle radici di molte
interpretazioni sbagliate. Basta pensare alla grande differenza di
percezioni che si hanno sui rischi di essere vittima di terrorismo o
di un fulmine, due eventi che hanno ucciso più o meno lo
stesso numero di americani da quando esistono i registri statistici,
dice Nassim Nicholas Taleb, co-direttore del Decision Research
Laboratory della London Business School.

Un buon esempio di come la copertura
grafica nei media può distorcere le nostre percezioni degli
eventi reali è la scoperta di James Ost dell’Università
di Portsmouth (Uk): la gente che è stata esposta alle notizie
delle bombe di Londra il 7 luglio 2005 riusciva a ricordare
particolari degli attacchi che non aveva di sicuro potuto vedere, per
esempio se il bus che era scoppiato in Tavistock square stava
muovendosi in quel momento.

La copertura dei media relativa ai
crimini “normali” sembra avere un effetto simile. Il 65 per cento
dei cittadini inglesi crede che i reati stiano crescendo in Gran
Bretagna. In realtà il British crime survey mostrava che i
crimini erano fermi dopo essere scesi del 42 per cento per dieci anni
dal 1995. Una situazione simile si è verificata negli Stati
Uniti: tra il 1990 e il 1998 i crimini registrati sono scesi del 20
per cento mentre la copertura televisiva è cresciuta dell’83
per cento. La copertura degli omicidi nello stesso periodo è
cresciuta del 473 per cento, mentre il numero degli omicidi è
sceso del 33 per cento.

Questa sproporzione nel riportare gli
eventi drammatici ha una particolare efficace nella distorsione delle
decisioni soprattutto quando porta a una progressione a cascata, un
processo di formazione delle proprie sicurezze che rinforza la
plausibilità di una storia man mano che la gente lo accetta
come fatto reale. Questo spesso origina delle leggende metropolitane
che durano per anni. E da questioni come le conseguenze dello
zucchero e del caffè ai rischi della guida, dell’energia
nucleare e del riscaldamento globale, ciascuno di noi sembra
dipendere di più dall’informazione su cosa gli altri
sembrano sapere. e non sanno davvero.

La disponibilità di informazioni
infatti non è l’unico fattore che condiziona la gente nel
prendere decisioni. Un lavoro di Dan Kahan e colleghi del Cultural
Cognition Project della Yale Law School, dimostra che quando la gente
prende in considerazione la sicurezza o i rischi ambientali come
l’uso di armi, le vaccinazioni o la sicurezza delle nuove
tecnologie, sono molto influenzati dalle opinioni degli esperti o
delle figure pubbliche che sembrano condividere il loro molto
culturale e i loro valori. Noi siamo predisposti a credere nella
innocuità delle nanotecnologie, per esempio, se vengono
sostenute da persone della stessa classe sociale o che condividono le
nostre direzioni politiche, e siamo predisposti a rifiutare invece le
argomentazioni di persone che hanno valori che non ci piacciono,
indipendentemente dalle idee che avevamo prima di sentirli.
Sfortunatamente tutto questo non necessariamente porta alla scelta
migliore, dunque la semplice idea che basti diffondere una corretta
informazione sia il modo migliore di permettere alla gente di fare
scelte ragionate, non basta. La gente, soprattutto se non ha
strumenti per interpretarle, e nel caso di situazioni complesse
avviene quasi sempre, la rifiuterà se non viene presentata da
persone con cui si sentono affini.

Cambiare il nostro processo decisionale
per essere capaci di fare scelte migliori non è semplice. Le
emozioni giocano un ruolo decisivo, e così quando siamo
impauriti o insicuri, finiamo dritti nella strada del nostro
comportamento primitivo.

Questo ha portato alcuni studiosi a
suggerire che dobbiamo arricchire le statistiche con un significato
più emotivo, per farle capire fino al cuore. Impariamo a
trattare i numeri fin da bambini come fossero delle entità
astratte, ma non impariamo a pensarli per quello che rappresentano
nella realtà. Dovremmo pensare invece come insegnare alla
gente a pensare più attentamente a quello che i numeri
rappresentano davvero, vale a dire alla qualità e non solo
alla quantità. .

Taleb pensa che insegnare alla gente
qualcosa dei rischi non cambierà il comportamento. Dice che
sarebbe più produttivo insegnare alla gente a selezionare le
informazioni che distorcono le nostre decisioni piuttosto che
insegnare a usare meglio le informazioni. “Se fosse possibile
insegnare alla gente a cambiare il suo comportamento in funzione dei
rischi, non avremmo nessuno che fuma. E invece lo abbiamo. La nostra
intelligenza non si trasferisce in comportamenti come vorremmo”.

La prossima volta che dobbiamo prendere
una decisione e la nostra mente è piena di pensieri di morte,
violenza o disagio, o i politici ci raccontano di cosa dovremmo aver
paura e da cosa ci proteggeranno, potremmo provare questa strategia:

Spegnert la televisione e chiudere il
giornale, essere soddisfatti e coscienti della propria risposta di
panico (che dipende dal fatto che siamo animali), ma anche
considerare che potrebbe essere poco appropriata, visto che non
stiamo vivendo nella savana. Solo a questo punto pesare gli elementi
in gioco e i fatti e. infine, sentire i numeri e considerare la
qualità dell’informazione che contengono.

 

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