Vittima o bullo? La difficile scelta degli adolescenti

School Psychology Quarterly – American Psychological Association 2010, Vol. 25, No. 2, 65–83


I bambini e gli adolescenti che non hanno strumenti per affrontare i disagi
sociali, rischiano di più di diventare bulli, vittime o persino entrambe le
cose. Sono i risultati di un nuovo studio pubblicato dalla American
Psychological Association. Inoltre, chi ha problemi a scuola, è più facile
diventi un bullo.

 

Lo studio ha analizzato tutta la letteratura americana ed europea fin qui
disponibile sul tema (oltre 153 studi condotti negli ultimi 30 anni su ragazzi
dai 3 ai 18 anni e su campioni che andavano da 44 a oltre 26mila persone) per
individuare quali fattori ambientali e individuali predicono la possibilità di
diventare un bullo o una vittima. Questi due ruoli, pur avendo tratti unici,  hanno infatti molte caratteristiche comuni.

Clayton Cook, dell’Università della Louisiana, che ha coordinato il
progetto, spera, in questo modo, di poter contribuire a individuare strategie
di intervento a largo raggio, per prevenire e fermare  il fenomeno all’origine.

In generale, sono bulli più i maschi che le femmine. Sia bulli che vittime
hanno problemi di relazioni sociali e difficoltà ad affrontare le situazioni
critiche. E il rendimento scolastico ha una stretta connessione con il
bullismo.

Un bullo tipico non riesce a risolvere i conflitti, ha attitudini negative
verso gli altri, scarsa autostima. Più frequentemente proviene da un ambiente
famigliare conflittuale, che non assiste il ragazzo, inoltre percepisce la
scuola come una istituzione da rifiutare. Ed è influenzato in questo aspetto
dai  suoi compagni.

Una vittima tipica è invece una persona aggressiva, che non ha capacità di
relazioni sociali, ha pensieri negativi, ha difficoltà ad affrontare problemi
di relazione, proviene da un ambiente scolastico, famigliare e di comunità non
stimolante ed è isolato rispetto ai compagni.

Ma c’è anche il bullo-vittima (che in situazioni diverse riveste entrambi i
ruoli): ha attitudini negative verso se stesso e gli altri. Ha difficoltà di
relazioni sociali, non va particolarmente bene a scuola e nonostante venga
isolato dai compagni, ne subisce le inflluenze.

I ricercatori hanno utilizzato dichiarazioni dei soggetti, ma anche dei loro
insegnanti e dei loro genitori per analizzare la gravità del bullismo,
l’aggressività o la vittimizzazione; il comportamento verso l’esterno
(aggressivo, provocatorio, violento); il comportamento verso se stessi (in
ritirata, depressivo, ansioso, sfuggente); le competenze sociali; la fede, i
sentimenti e le riflessioni; il rendimento scolastico; l’ambiente famigliare e
scolastico; la vita nella comunità di appartenenza; le relazioni con i compagni
e la loro influenza.

Gli autori hanno così scoperto che il comportamento sia di bulli che di
vittime dipende anche dall’età. I più giovani sono più aggressivi, provocatori
e violenti, mentre i più vecchi sono più depressi e ansiosi. I più giovani non
si curano di diventare impopolari, come invece avviene con i più vecchi. E le
vittime più grandi soffrono più di depressione e ansia rispetto alle più
giovani.

Sempre secondo gli autori le denunce o l’allontanamento non sono metodi
efficaci per la lotto contro il bullismo. Sono molto più utili invece gli
interventi che puntano a modificare i comportamenti e l’ambiente per impedire
ai ragazzi a rischio di diventare bulli o vittime, intervenendo sui parenti, i
compagni e la scuola allo stesso tempo.

 

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