L’inutilità di certi importantissimi trattati

Un trattato internazionale per prevenire le morti in particolare quelle civili, e che impegna gli stati a ripulire i resti delle proprie armi inesplose, lasciati nei campi dei Paesi nemici, è entrato in forza il 17 di novembre. Si tratta del quinto protocollo di una convenzione la cui esistenza deve essere sfuggita a molti, in particolare agli stessi stati che hanno partecipato ai negoziati: la Convention on certain conventional weapons, ovvero convenzione su alcune armi convenzionali, nota anche come CCW è infatti in vigore dal 1980. Riguarda

 la restrizione sull'uso di armi ritenute troppo devastanti, o pericolose perché possono colpire in particolare le popolazioni civili.  Ed è composta da una quattro di protocolli che erano entrati in forza prima del 2000 e che restringono in particolare l'impiego di mine, armi che si frammentano (vedi le cluster bombs usate in Bosnia, Iraq e nella recente occupazione del LIbano), armi che si incendiano (vedi il fosforo usato a Fallyja e di nuovo in Libano) ai quali si è aggiunto recentemente il quinto, che riguarda in particolare razzi, granate e di nuovo le cluster bombs. Il nuovo protocollo è in teoria potrebbe portare a un drastico e positivo cambiamento:  impegna gli stati a eliminare i resti lasciati durante i conflitti, o a contribuire con sovvenzioni nel caso la bonifica venga fatta dallo stato colpito. Come tuti i trattati internazionali però è un bel gesto che porta a scarsi risultati. Il protocolo infatti è stato firmato solo da 25 stati (sugli oltre 100 che hanno ratificato la convenzione). In questi stati non compare, guarda un po' Israele, e neppure Gran Bretagna, Russia e Usa, che ha rimandato la ratifica a un periodo successivo alla disussione, ed eventuale approvazione, del Senato. Inoltre chi dovrebbe togliere i frammenti è il governo occupante quando ancora controlla il territorio (e  ovviamente ne ha tutto l'interesse). Mentre se nel frattempo ha dovuto ritirarsi (vedi il caso di Israele in Libano) è tenuto a contribuire ma, recita il testo, solo nel caso ne abbia la possibilità. Quando è evidente che due Paesi in coflitto difficilmente hanno voglia di collaborare. 

Il caso recente che riguarda Israele e il LIbano è esemplare: la bonifica sta procedendo in modo lentissimo eprché Israele rifiuta di fornire dettagli sulle aree interessate, Dalla fine ufficiale dell'operazione militare, sono rimaste uccise 23 persone. 

Si tratta comunque del primo protocollo internazionale che impegna i governi su un aspetto che ha un grande valore, visto che i resti inesplosi colpiscono pricipalmente non i militari, ma civili, e mezzi di soccorso, e che rendono impossibile l'uso delle terre per decenni, come è accaduto in Vietnam e in Cambogia. Però non ne vieta l'uso, come proposto invece dalle Nazioni Unite e dalla Croce rossa internazionale.

I Governi che si sono riuniti a Ginevra settimana scorsa, più che far entrare in forza questo protocollo che già era stato discusso e proposto tre anni fa, si sono trovati anche per vararne un altro, fortemente promosso dagli Usa, che riguarda le mine anti veicolo e che a loro parere è ancora più importante degli accordi sulle armi anti uomo. Gli Usa ritengono intatti che se si vietano le cluster bombs, si possa verificare un maggiore ricorso alle mine anti veicolo, e che queste siano particolarmente pericolose perché sono di solito concentrate lungo le principali vie di comunicazione, vie che come è facile immaginare sono di estrema importanza nella fase successiva di ricostruzione. Per ora la discussione è rimandata perché molti hanno epsresso resistenze. Ma l'uso "umanitario" delle armi sembra per ora solo tentativo sgraziato di ripulirsi dalla cattiva coscienza.

 


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