Capitalismo alla cinese

Il parlamento cinese il 16 marzo ha varato una legge sulla proprietà privata. Non è stato un percorso facile:  dopo circa dieci anni di preparazione, la legge è passata per sette letture prima di essere giudicata pronta a essere sottoposta al voto e finalmente approvata con 2.299 voti contro 52. Il voto arriva tre anni dopo che un primo storico voto del parlamento cinese ha iscritto la protezione della proprietà privata nella costituzione.Apparentemente nulla di strano, per un Paese che sta uscendo a gambe levate dall'era comunista, con passi da gigante come l'entrata nel Wto. La Cina ha però una via del tutto originale che la sta portando a un interessante ibrido, che non può essere del tutto definito capitalismo liberista. Nonostante ci siano infatti degli ambiti in cui è evidente che il modello è quello occidentle, e per di più statunitense, ci sono degli esempi in cui le scelte fanno parte di una via alternativa che non rinnega del tutto il passato. La nuova legge infatti, mentre riconosce il diritto della proprietà della casa, lo nega per quanto riguarda la terra. Lo smantellamento dell'economia di stato è partito proprio dalle città. E il numero degli abitanti dei centri urbani è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni, nonostante il governo abbia smesso di fornire la casa gratuita per tutti, a partire dal 1990. La legge parla chiaro: la proprietà di ciascun individuo deve essere protetta dalla legge, e il posseso illegale, l'occupazione e la distruzione è proibito. Resta una piccola area di riserva statale: i cittadini possono vendere e comperare la proprietà di un immobile, ma solo per 50 o 70 anni.
La Cina ha però adottato un criterio completamente diverso per quanto riguarda la terra. I 750 milioni di abitanti delle campagne infatti non possono possedere i terreni. E per loro rimane invariata la collettivizzazione introdotta negli anni Cinquanta. Sono ancora nella condizione di doverla affittare, e non possono avere molta voce in capitolo quando le autorità locali ne pretendono la riconversione per altri usi.
Ufficialmente questa impostazione nasce dalla preoccupazione che se gli agricoltori possedessero la terra, la svenderebbero, e si troverebbero senza garanzie in un Paese che non ha ancora un sistema di sicurezza sociale.
Strano che la Cina penalizzi in questo modo il nocciolo duro della sua popolazione. La nuova legge manca in realtà di un altro tipo di una protezione nei riguardi degli agricoltori : quello dal furto della terra effettuato non da altri privati, o da speculatori, ma da potentati locali che ritengono più interessante convertire la terra ad altri scopi: quartieri, parcheggi, ma anche miniere, discariche, fabbriche. Molte municipalità si basano proprio su queste concessioni per migliorare i loro budget. Con il risultato che gli abitanti vanno poi a ingigantire la popolazione degli slums delle periferie, secondo una legge già nota in tutto il resto mondo Nessuno sta zitto, Le proteste contro gli esprorpi sono state numerose, ma circa 200mila ettari di terreno vengono sottratti ogni anno agli usi agricoli e destinati a usi industriali. Insomma, la proprietà collettiva della terra dovuta all'eredità maoista, che sembra resistere ancora nonostante le strizzate d'occhio a dollari e euro, non ha più niente a che fare con l'idea di bene comune, imposto per evitare la predazione di una risorsa che si ritiene faccia più parte della comunità locale che del singolo individuo. Ha pochissimo a che fare con i territori comunali come i boschi o i pascoli, che in Europa sancivano la necessità di gestire insieme un bene prezioso per la comunità contadina. In Cina gli agricoltori  possono usare la terra solo per un periodo di tempo limitato, non possono investire o pianificare una espansione della loro produzione, e soprattutto sono soggetti agli appetiti di speculazioni edilizie. Se infatti l'area si trova in una perioferia urbana, visto l'elevata espansione delle città, prima o poi verrà destinata a edilizia, e i contadini verranno allontanati. Tutt'altra cosa che il rischio di svendere la terra per pochi soldi e impoverirsi per sempre.

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